lotta per la libertà

Violenze in Siria, a un anno dalla rivolta si contano 10mila morti, di cui 8mila civili

Nella triste ricorrenza l'Onu torna a chiedere a governo e opposizione di far cessare le violenze. Anche i Paesi del Golfo chiudono le proprie ambasciate a Damasco

16 Mar 2012 - 10:52
 © Ap/Lapresse

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Quasi 10mila morti, tra cui 8mila civili: è il bilancio di un anno di rivolta in Siria. Nell'anniversario delle prime proteste di piazza contro il presidente al-Assad, l'Onu è tornata a chiedere a governo e opposizione di far cessare le violenze, mentre le sei monarchie arabe del Golfo hanno deciso di chiudere le loro ambasciate a Damasco.

La situazione esplosiva ha indotto il presidente siriano Bashar al-Assad ad avviare una missione congiunta di monitoraggio, con Onu e Conferenza Islamica. La missione inizierà entro la fine della prossima settimana e andrà a visitare le città di Homs (cuore della rivolta), Daraa e Hama. Da Ginevra, la responsabile dell'Onu per gli aiuti umanitari, Valerie Amos, ha ribadito il suo appello a Damasco affinché consenta l'accesso "senza ostacoli" alle organizzazioni umanitarie. Mentre la Ue esclude l'ipotesi di un intervento Nato nel Paese che non farebbe altro che aumentare in maniera esponenziale il numero dei morti.

Damasco poi, nell'anniversario delle prime proteste di piazza contro il regime, ha deciso di organizzare "in tutto il Paese raduni di milioni di persone" in sostegno del presidente.

Ma il conto delle vittime sale di ora in ora. Il bilancio viene documentato in modo dettagliato dal Centro di documentazione delle violazioni in Siria (Vdc), dopo controlli incrociati. Delle 9.753 persone uccise, 7.883 sono civili e 1.847 sono militari, molti dei quali disertori dell'esercito regolare. Tra i civili ci sono 695 tra bambini e adolescenti e 392 donne. Mentre il 13 febbraio le autorità siriane parlavano in termini vaghi di "migliaia di morti" senza distinguere tra civili e militari. Spesso, poi, sui corpi senza vita vengono trovati segni di torture.

Intanto, ai confini del Paese è emergenza per il continuo afflusso di profughi. Nelle ultime 24 ore, il numero di rifugiati accolti nelle tendopoli della Turchia è salito a quasi 15 mila. Tra loro anche un generale. Le autorità di Ankara hanno riferito che i siriani hanno piazzato mine lungo i sentieri utilizzati da chi fugge in Turchia.

Nel frattempo, anche i sei Paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (le sei monarchie sunnite Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, Kuwait, Bahrein e Qatar) hanno chiuso le loro ambasciate a Damasco denunciando la scelta del regime di "massacrare il proprio popolo e di aver scelto l'opzione militare, respingendo tutte le iniziative per trovare uan soluzione alla crisi". Le sei diplomazie hanno rivolto un appello alla comunità internazionale per la cessazione delle violenze.

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